Il cicloturismo è oggi una realtà consolidata nel panorama europeo dell’offerta turistica. L’Italia ha molto da dare, si sa, per quanto riguarda il settore dell’ospitalità, ma nello specifico i dati relativi al mondo delle due ruote mostrano la schizofrenia tipica del Bel Paese: a fronte di una domanda estera sempre maggiore e con una predisposizione quasi storica alla mobilità lenta ed alternativa grazie alla sua immensa campagna, l’Italia non è però in grado di competere con quanto offerto dai nostri cugini nord-europei in quanto a lunghezza, manutenzione e sicurezza dei percorsi ciclabili.
Qualcosa, però, sta cambiando.
UNA VELOCE PANORAMICA
Per cercare di rendere immediatamente chiaro quanto anticipato vorrei iniziare riportando alcuni dati:
- L’Italia è il maggior produttore europeo di biciclette (ininterrottamente dal 2009) con circa 2,7 milioni di due ruote realizzate nel 2014;
- In un giorno qualsiasi del 2015 il 6% degli italiani ha utilizzato la bicicletta come mezzo di trasporto primario, in Europa la media è stata dell’8%, nei Paesi Bassi (i primi della classe) sono arrivati al 36% della popolazione. Peggio di noi sono britannici e portoghesi (rispettivamente 3% e 1%).
- Purtroppo per quanto riguarda la sicurezza siamo anche in questo caso nella parte sbagliata della lista con ben 249 ciclisti vittime di incidenti mortali nel 2015 (solo Germania, il doppio di utenti, e Polonia hanno numeri ancora maggiori).
- I fondi destinati dalla legge di Stabilità 2016 per le ciclovie e gli itinerari a piedi sono passati da 33 a 91 milioni di euro.
- La stima dell’indotto aggiuntivo generato dalla realizzazione delle tratte italiane di EuroVelo (la rete ciclabile europea) è di 2,05 miliardi di € (i 3/4 dei quali per i soli pernottamenti).
REALTA’ DIVERSE, DIVERSI NUMERI
Per quanto in Italia i chilometri di percorsi ciclabili siano oggi quasi 90mila, molti dei territori nei quali viviamo sono privi di itinerari sicuri e i frammenti che sono stati finora realizzati non sono messi a sistema con il resto della rete. Abbiamo alcune città che vantano numeri (nord)europei come Bolzano, Ferrara e Treviso (solitamente città di medie dimensioni), e altre realtà con un maggior numero di abitanti (come Torino e Roma) dove la strada da fare è ancora molta.
Dal quadro che Legambiente ha presentato nel 2015, emerge che in Italia la bici ha la meglio nelle piccole e medie città, mentre in città maggiori fatica a trovare riconosciuti sia spazi che diritti, al contrario di quanto avviene abitualmente in Europa.
Anche in situazioni in cui la progettazione urbanistica a livello locale e regionale non è sicuramente improntata verso lo sviluppo della mobilità sostenibile (si pensi ad esempio al Veneto, dove il modello insediativo basato sulla dispersione urbana è stato oggetto di molti studi e feroci critiche) possiamo trovare tuttavia alcuni modelli positivi di mini-ciclovie o sistemi ciclabili di grande rilevanza.
La Treviso-Ostiglia era una linea ferroviaria realizzata in occasione della seconda guerra mondiale (ed è anche stata utilizzata per la deportazione degli ebrei verso i campi di sterminio); oggi, dopo svariati anni di abbandono, un progetto delle Province di Padova e Treviso ha convertito il vecchio tracciato in una pista-ciclopedonale che attraversa la campagna veneta e che offre uno spettacolare percorso di indubbio valore testimoniale e paesaggistico.
Grazie alla sua vicinanza con Marghera e alla problematica situazione del traffico veicolare, Mestre è stata per lungo tempo presente nelle cronache, anche nazionali, grazie ad alcune di quelle caratteristiche che la rendono agli occhi di chi la guarda una città anti-ecocompatibile per antonomasia. A fronte di tutto ciò, sviluppa una rete di piste ciclabili che viene utilizzata da circa il 20% dei residenti per gli spostamenti giornalieri (fonte 2008), e, grazie all’adozione del BiciPlan, vedrà ampliarsi la disponibilità di percorsi esclusivi dagli attuali 67km ai ben 100km previsti dal progetto, una volta che esso verrà interamente realizzato, portando la città veneta ai primi posti in Italia per tra le città con la rete ciclabile più estesa.
(La ciclovia Treviso-Ostiglia – copyright)
Una tratta ancora da finire ma che ha già avuto ottimi riscontri in quanto a numeri e prospettive è la pista ciclabile a lunga distanza Monaco-Venezia. Questo nuovo collegamento di 560 Kilometri che si distende lungo i paesaggi spettacolari che si incontrano passando dalle Alpi al mare, attraversa 3 paesi (Germania, Austria e Italia) superando 3.000 metri di dislivello complessivo.
(FINALMENTE) GRANDI INVESTIMENTI OPERE
Nella legge di Stabilità è stata individuata una «spesa di 17 milioni di euro per l’anno 2016, 37 milioni di euro per l’anno 2017 e 37 milioni di euro per l’anno 2018» per le ciclovie, le ciclostazioni e gli interventi per la sicurezza della circolazione a due ruote. In totale sono stati quindi stanziati 91 milioni di euro in tre anni.
Vengono anche individuati tre progetti prioritari:
- Verona-Firenze (Ciclovia del Sole)
- Venezia-Torino (Ciclovia Vento)
- GRAB – Grande raccordo anulare delle biciclette di Roma
La storia del GRAB è davvero curiosa: questo itinerario prende vita circa vent’anni fa dall’idea di un gruppo di cittadini. Percorrendo sentieri improvvisati attraverso la campagna romana, questi hanno dapprima “inventato” il GSA (grande sentiero anulare) ed ora stanno attendendo di vedere compiersi il riconoscimento istituzionale della ciclovia con la prossima cantierizzazione del grande raccordo anulare delle biciclette dopo anni di battaglie e di pericolose pedalate nei sentieri della periferia della Capitale.
+ PISTE CICLABILI = + CICLISTI ?
Purtroppo le cose non sono così semplici.
Ci sono due fattori che frenano lo sviluppo parallelo sia di percorsi che di utenti:
- il primo sta proprio nella rete: l’infrastruttura italiana non è un sistema connesso, ma una serie di piccoli spezzoni di percorsi ciclabili che spesso non riescono neppure a formare una “rete” .
- la seconda questione riguarda l’assenza di intermodalità: uno dei requisiti per il corretto sviluppo delle piste ciclabili di importanza soprattutto sovra-locale è la possibilità di poter arrivare da e/o potersi muovere verso altri nodi della rete utilizzando anche altri mezzi di trasporto alternativi alla due ruote, quali treni e bus pubblici. Questo oggi non avviene se non in minima parte.
Ma forse è un terzo fattore a meritare una più attenta riflessione: l’utenza. O meglio, la non-utenza. Ferrara e Brescia hanno due reti ciclabili che per lunghezza e caratteristiche si somigliano: a Ferrara il 27% dei cittadini usa la bici per gli spostamenti giornalieri, a Brescia ad usare la bicicletta è il 3%.
Un altro fattore che riguarda i ciclisti intesi come categoria di utenti è rappresentato dalle organizzazioni di ciclisti; qui basta un solo dato per essere abbastanza esemplificativi della situazione: in Inghilterra la media dei ciclisti sul totale degli spostamenti è del 3%, in Italia siamo, come detto, al 6%; la Gran Bretagna conta 130mila membri riuniti in tre associazioni, la Fiab italica ne conta 12mila.
Questi riportati sono solo alcuni dei molti fattori che purtroppo ci raccontano di come le piste ciclabili non bastino da sole a creare dei nuovi potenziali ciclisti.
L’obiettivo dichiarato deve quindi essere quello di realizzare una rete funzionale, sicura e con una distribuzione capillare lungo il territorio dello stivale, perché è infatti evidente che «ciclisti, pedoni e trasporto pubblico crescono dove si rovesciano le gerarchie, dove cioè andare in auto diventa l’opzione meno facilitata e dove c’è garanzia di sicurezza per l’utenza vulnerabile».
IL CICLOTURISMO COME OPPORTUNITA’ ECONOMICA
Se a livello politico qualcosa sembra muoversi, sembra chiaro a questo punto che le strutture ricettive debbano farsi trovare pronte alla nuova sfida.
Nel 2012 in Europa il cicloturismo ha generato un giro d’affari di 44 miliardi di euro. E i numeri continuano a crescere: questa risorsa merita una seria considerazione da parte degli operatori in quanto si sposa con la crescente richiesta di un turismo sostenibile e personalizzabile da parte del singolo turista. La possibilità di percorsi “off the beaten track” è una delle caratteristiche più apprezzate dai cultori della bicicletta e il territorio della costa veneta è perfetto per poter, ancora una volta, offrire servizi attuali nel pieno rispetto della sostenibilità.
Sarà solo grazie ad una presa di coscienza circa l’opportunità che il cicloturismo offre a territori come quello veneto in termini di occupazione e reddito a rendere possibile un deciso cambio di rotta nelle scelte strategiche per gli investimenti economici nel settore della mobilità e del turismo.
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